Stazione di Mestre — Posto da dimenticare

Paolo Querini
4 min readOct 29, 2017

Trentadue ore fa in cima al Preikestolen con il vento che sferza a ottanta all’ora e adesso qui a Mestre. Sono le 23:20 e ho perso l’ ultimo treno per Udine.

Si trattava in ogni caso di una scommessa molto dubbia visto il tempo di percorrenza aeroporto-stazione. Prendendo un taxi sarebbe stato uguale. Così eccomi qui bloccato fino a domattina alle cinque e un quarto. Poco più di cinque ore, niente di particolare: Si trattasse dell’aeroporto quasi la norma, così do uno sguardo per individuare un posto dove accomodarmi.

Pensando “stazione” pensi sala d’ aspetto. Nessuno che progetta stazioni ferroviarie può dimenticarsi un simile particolare anzi: Sala d’ aspetto di prima e sala d’aspetto di seconda. Invece questo doveva essere un progettista scarso perché oltre a non esserci un locale dedicato, chiuso il bar non c’è neanche una sedia.

Guardando meglio scorgo una coppia straniera infagottata contro una vetrina e mi pare un’idea ragionevole. Mi siedo per terra a una giusta distanza e mi rilasso. Sono ancora in tenuta da montagna e mi sento piuttosto bene.

Il ragazzo biondo arriva dopo poco. Mi fa un discorso di taccuini persi, di sette euro per comprare il biglietto. In definitiva sono troppo stanco e troppo scocciato per fare lunghi ragionamenti e così non mi accorgo che è trasparente. Dopo avergli allungato un euro mi ricordo dei derelitti che mio figlio Tommaso mi ha indicato alle fermate dei tram, a Oslo la sera prima. I tossici. Gli ho dato un euro per comprarsi della droga!

A conferma dopo un quarto d’ora arriva una ragazza smunta con la stessa storia di biglietti. Le dico: -Che strano; tutta questa gente che deve partire a mezzanotte- Se ne va.

Adesso finalmente riposo con un occhio aperto, ma guarda: Arrivano i poliziotti. -Non si può stare qui- -Bene- rispondo -Allora indicatemi una sala d’ aspetto, una sedia dove aspettare il treno di domattina- -Non c’è niente del genere; adesso la stazione chiude- -Chiude? La stazione chiude? Mai sentito di una stazione che chiude. E se io ora faccio il biglietto, li alla macchinetta, non posso aspettare il treno?- -No signore, Lei deve uscire. Se crede presenti un reclamo-

Così eccoci qui: Io e la coppia straniera buttati in strada. Ci parliamo. Loro progettano di piantare la tenda nel giardino pubblico e spariscono su per il viale. Cammino guardandomi attorno. Entro nell’ ultimo caffè aperto e ordino un espresso. Prendere una stanza per tre ore mi pare più una scocciatura che una soluzione così esco ed esploro i dintorni. Finiti i portici c’è il parco. Sotto il lampione d’angolo una donna sta urlando, ubriaca o fatta. Passo davanti a due neri che mi chiedono se va tutto bene. Tutto benissimo, grazie.

Aggirato l’ isolato niente di utilizzabile salvo distendermi tra una macchina e l’altra, così eccomi nuovamente davanti alla stazione. Seguendo delle strisce gialle trovo un accesso ancora aperto diretto ai binari, con le loro panche di marmo. Un posto tranquillo, raggiungibile. Ma ecco che dal sottopassaggio arriva un inserviente. Anche i binari sono vietati: anche una merdosa panca di marmo! Sospinge fuori me e una ragazza con il trolley e chiude il cancello alle nostre spalle.

In un piazzale a fianco dell’ ingresso chiuso arriva un pullman nella notte. Mi affaccio a chiedere dove è diretto -Belgrado- e per dove passa -Fernetti: Non ci entriamo neanche a Trieste-

Ci sono due panchine di ferro sotto il fanale. La hall illuminata del bell’ hotel è una presenza rassicurante. Mi accoccolo appoggiandomi al sacco da montagna cercando di assumere una posizione lontanamente confortevole. Dopo poco arriva una negretta tutta riccia e mi chiede se può sedersi. Si siede continuando a parlare a monosillabi al cellulare. Mi chiede dove vado. Cosa va cercando è evidente. Infatti dopo poco arriva e si ferma un tizio nero in mountain bike. C’è tensione. Lui doveva darle dei soldi. Vuole che torni da lui in camera. Lei rifiuta. Il nero descrive stretti giri della piazza con la bicicletta. Finalmente arriva un bus e la ragazza ci sale, diretta chi sa dove.

Sta cominciando a fare freddo e ogni tanto ho un brivido, ma solo nelle gambe. Alle tre e un quarto, in questa notte senza treni sbuca fuori dal buio un altro pullman. Si ferma distante ma non riparte subito. Faccio a tempo a raggiungere la cabina e chiedere la destinazione -Udine e Trieste- A me va benissimo. L’ autista perde un po’ di tempo a consultare il palmare. Non so cosa gli venga fuori ma alla fine mi fa salire. La cabina è calda e tutti dormono. Il pullman beccheggia dolcemente e imbocca il raccordo. In poco più di un’ ora sono in un’ inedita e bellissima Udine deserta. La macchina è dall’ altra parte della città. Cammino felice; sono già davanti alla loggia del Lionello.

Guidando verso casa ripenso senza particolare risentimento ai poliziotti: Categoria per propria natura tollerante e di vedute aperte che lascia in pace a fare i propri comodi tossici, papponi e donne di strada ma è inspiegabilmente inflessibile con i viaggiatori.

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Paolo Querini

Professionista ed Amministratore carnico, autonomista di formazione marxista. Cerco di essere utile ai miei simili perché (di solito) mi stanno simpatici